Questa singolare tradizione ha origini nella notte dei tempi. Pare infatti che affondi le radici nella Magna Grecia, quando sulla sponda est del fiume Gela, a pochi passi dall'ingresso principale dello stabilimento Eni, su una collinetta oggi denominata "Bitalemi" esisteva un piccolo santuario (i cui resti sono tuttora visibili) dedicato alla dea greca Demetra, patrona della Terra e dunque della sua fertilità, a cui venivano sacrificati dei maiali a scopo propiziatorio e dunque consumati sul posto.
Ancora adesso l'area in questione è "sacra" in un certo senso, in quanto si trova una piccola cappella dedicata a Santa Maria di Betlemme, da cui appunto deriva il toponimo della zona, frequentata soprattutto a maggio nell'ambito delle celebrazioni del mese mariano.
L'usanza di offrire del cibo ad una divinità, attraversando il cristianesimo, è giunta fino ai giorni nostri.
L'usanza attuale delle Cene di San Giuseppe, consiste nell'allestire in una stanza un piccolo tavolo per tre persone, cioè per coloro che impersoneranno la Sacra Famiglia. Dietro ad esso troviamo un altare composta da sette scalini ricoperti da sfarzose lenzuola bianche che rappresentano le sette gioie e i sette dolori di San Giuseppe, sui quali vengono poste degli alimenti, in particolare forme di pane non lievitato e dolciumi a foggia di simboli rappresentanti San Giuseppe o più in generale la Sacra Famiglia (gallo, sega, scala, pesce, croce ecc...). Intorno a questa struttura vengono sistemati un'ampia varietà di generi alimentari poste su delle tavole, anch'esse ricoperte da lenzuola e/o tovaglie bianche, che provengono anche da donazioni ed offerte.
La preparazione della Cena è un atto molto importate e gravoso, nel passato infatti molte famiglie se non interi quartieri collaboravano alla realizzazione, che comincia anche molti mesi prima.
E' usanza che il padrone di casa si umilia, girando per almeno tre vie, nel chiedere l'elemosina necessaria alla realizzazione della cena stessa. Esiste ancora oggi chi compie questo rito completamente scalzo, inginocchiandosi quando riceve il denaro su un fazzoletto bianco.
Una volta terminato il pranzo rituale della Sacra Famiglia, tutto ciò che è presente alla Cena viene suddiviso tra i figuranti, spesso persone non abbienti, o dato in beneficenza.
E' tradizione che coloro i quali hanno collaborato alla realizzazione della Cena, una volta smontata la struttura, pranzano insieme le tipiche "virgineddi" (pasta fatta in casa con fave e legumi).
Ancora oggi le due festività dedicate a San Giuseppe (19 marzo - 1 domenica di maggio) sono molto sentite dai gelesi. Vi è infatti una larga partecipazione da parte della cittadinanza.
Tuttavia per quanto riguarda le "Cene", si registra un decremento delle stesse. Infatti da alcuni documenti di fine XIX sec. si attestano intorno alle 200 cene, passando per le 50 registrate nel 1992 ed alle 14 nell'anno corrente (le altre sono state infatti realizzate da parrocchie ed istituti religiosi ad esse collegate). Tale vertiginoso calo è attribuibile in primis alla crisi economica verificatosi nell'ultimo decennio ma anche alla progressiva diminuzione della religiosità e delle vocazioni.
L'allestimento di queste cene, richiede un impegno economico ed umano notevole.
Sarebbe interessante promuovere queste tradizioni folkloristiche/religiose, non tanto per il loro aspetto teologico, ma perché rappresentano una parte importante della nostra cultura, la cui ricchezza è tale che avremmo una grande perdita se andassero scomparendo.
"Perdere il passato significa perdere il futuro" (Wang Shu).